Cari amici librosi,
oggi vi segnalo il romanzo “Lo strano colloquio” di Simone Ceccarelli, edito da Kimerik edizioni.
Una storia il cui principio è una richiesta ai lettori: “Fate silenzio, ascoltate con insicurezza, non fate domande finte e risposte previste. Adesso parla l’opera…” una premessa che ricalca un po’ le orme del famoso incipit di Italo Calvino in “Se una notte d’inverno un viaggiatore”.
Un romanzo la cui narrazione è influenzata dagli insegnamenti freudiani, una sorta di autoanalisi impostata come un dialogo tra autore e lettore. Una vicenda che mette a nudo l’interiorità del proprio animo mediante un discorso tra lo scrittore e il suo stesso Io. In un dialogo, un soliloquio con il proprio sé.
Una narrazione che invita alla riflessione, in un’analisi del genere umano dove, in un mondo offuscato dall’odio e dall’indifferenza, le persone hanno smesso di porsi delle semplici domande, del capire i propri sogni, di voler raggiungere tali sogni, di pensare e di volere il bene. L’atto del riflettere, ormai, non esiste più. Perché? Perché l’uomo teme il confronto, innanzitutto con se stesso e poi con gli altri.
Firenze. L’autore in un dialogo continuo con il proprio sé, incontrerà una serie di bislacchi personaggi, ognuno dei quali solleverà un quesito sulla natura umana. In un crescendo di riflessioni e incontri bizzarri, l’autore incrocerà lo sguardo di una ragazza misteriosa tra gli scaffali di una libreria che, come guidata da una forza soprannaturale, non riuscirà a fare a meno di osservarlo e porgli un quesito. Un quesito che li trascinerà in uno scambio di concetti fluente, che permetterà loro di esplorare le varie sfaccettature dell’arte, della psicoanalisi, in un dialogo avvolgente e sviscerante delle paure che logorano i loro animi in un incontro probabilmente stabilito dal fato.
Tutto ebbe inizio insperatamente, come di consueto accade, su un niente di un intervallo improvviso sopra un palcoscenico spento. Intendo senza riflettori. Dinanzi a quel palco il pubblico, come la scena, era assente e taciturno. Nessuna luce, nessuna melodia, nessuna voce, nessun suono, nessun applauso. Un meditativo vuoto stava attendendo le parole (ma quali!?). Dal niente, dallo zero radicato nella vita ebbe inizio l’opera. Nel mio linguaggio verbale un mormorio fastidioso dimorava e strillava come un neonato. Non riuscivo a esprimere dialettica ragionevole perché disturbato da una lagnanza.
Nella struttura stessa della sua parola risiedeva una pausa, uno spazio, un taglio, un lamento che indicava l’impossibilità di eliminare quel sibilo. Lentamente le nostre lingue si scontrarono. Nella mia parola dimorava la sua. Nell’azione del parlare una ferita, incisa nelle mie profondità dialettiche, spalancava il suo spacco concedendo voci dubbie e deluse. Le nostre pronunce linguistiche si incrociavano, si mischiavano, si attorcigliavano l’una con l’altra come due ofidi conducendoci a un desiderio sconosciuto. Durante quel colloquio i due dialetti si stemperarono sino a divenire una sola lingua. La sua diventò mia e la mia diventò sua. Parlavamo allo stesso tempo con una sola lingua ma in quello stesso tempo c’erano tre lingue: la mia, la sua e quella universale. Fu veramente coinvolgente l’incontro avvenuto in una nota libreria di Firenze. Prima di esso, però, ce ne furono degli altri.
La città rimase ipnotizzata e impietrita dinanzi a quelle parole-non-dette. Avvenne un dialogo o un colloquio, tra me e una donna, il quale non richiedeva di essere capito, bensì di essere soltanto assistito. Pretendeva di non bloccare l’ascolto e di non arrestarlo con l’esaurimento della comprensione. Era semplicemente una distribuzione di alcuni linguaggi e vocaboli da parte di una conversazione che esponeva il proprio pensiero nodoso. Il pensiero dei due. Tale chiacchierata desiderava che entrambi, io e la donna, ci lasciassimo andare nella narrazione e nell’ascolto di lui.
Quella “conversazione” segnò la mia giornata e parte della mia esistenza. Fu uno di quegli incontri di cui si percepisce subito la fatalità. Ha lasciato qualcosa di ignoto dentro e fuori di me. Presumibilmente una parola, una domanda, un desiderio, un fondo, un sapere da non intendere, una verità priva di conoscenza.
Simone Ceccarelli è nato nella cittadina di Bagno a Ripoli, nel 1983, alle porte di Firenze.
Nel 2003 viene abbagliato e coinvolto appassionatamente da teorie e insegnamenti di Freud, tant’è che emerge dal suo animo interiore un sentimento irresistibile verso la psicoanalisi. Autodidatta, trova nella scrittura la valvola di sfogo creativo.
Sempre nel 2003 lo scrittore decide di approfondire i suoi studi nel campo della psicoanalisi attraverso letture e viaggi. Pochi mesi più tardi comincia un percorso di analisi durante il quale ripercorre alcuni frammenti del proprio passato. Viene attraversato dal dolore e dall’angoscia che lo spingono a scrivere memorie. In quell’esperienza, da lui definita unica, viene in contatto con l’Altro. Cioè l’inconscio. La scrittura lo coinvolge e lo conduce verso orizzonti inimmaginabili della fantasia artistica. Simone a quel punto inizia a scrivere per estrarre le dolenze dal suo essere. Le sue passioni, oltre alla narrazione e all’arte, sono rivolte alla letteratura, al teatro, alla filosofia, alla poesia.
Nel 2013 pubblica la sua prima opera, La parola silenziosa, e, nel 2014, il suo secondo libro, Le parole e il gesto inaspettato.
Nel 2016 è ideatore e responsabile di un evento culturale, la “Fiera del libro di Candeli”, che ha visto la presenza di scrittori e poeti di spessore, giornalisti e personaggi della politica.
AUTORE: Simone Ceccarelli
TITOLO: Lo strano colloquio
CASA EDITRICE: Kimerik
GENERE: Narrativa
PAGINE: 168
FORMATO: Rilegato (Disponibile anche in e-book)
ISBN: 978-88-9375-474-3
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