Autore: Lilia Bicec Zanardelli
Titolo: Lager 33
Casa editrice: Albatros
Pagine: 288
Genere: narrativa storica
Carissimi,
questo mese vi parlo del libro “Lager 33” di Lilia Bicec Zanardelli, edito dalla Albatros. Un libro che tratta di un avvenimento taciuto della Seconda guerra mondiale: il massacro dei detenuti del Lager 33 di Balti, in Moldavia.
Una storia sul tormento vissuto dai deportati in quei luoghi di tortura, in cui il patimento fisico e quello psicologico camminavano assieme, distruggendo l’individualità di ogni essere umano.
Quando ogni deportato non era altro che un numero, e nulla più.
Un viaggio, quello descritto da Lilia, nella realtà stalinista. Un lungo cammino dalla Moldavia fino alla Siberia, nelle vaste regioni disabitate, luoghi perfetti per ospitare i campi di prigionia: i gulag.
Una storia di sofferenza, lotta per la sopravvivenza e adattamento. Una storia che mostra il non arrendersi e come in ogni più profonda oscurità vi sia poi uno spiraglio di luce, di speranza: l’amore. Un amore nato nelle avversità del gelo siberiano, forte e duraturo destinato a sopravvivere ai più subdoli tormenti.
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Vittorio Montini è un soldato italiano, deportato nel Lager 33 di Balti, nella Repubblica di Moldavia. Sopravvissuto alla fucilazione di massa dei deportati del campo, Vittorio fugge e ormai moribondo viene miracolosamente salvato dalla famiglia Salcie che lo assisterà nella propria dimora. Lì incontrerà l’amore della sua vita: Stefania.
Un amore tuttavia destinato alla sofferenza dei peggiori soprusi, costretto ad affrontare le angherie della deportazione in Siberia, nei campi di lavoro.
Vittorio e Stefania, allontanati con la forza dalla loro terra natìa, dovranno affrontare e sconfiggere il freddo, le intemperie, i maltrattamenti e i pericoli della taiga.
L’amore basterà a sconfiggere ogni avversità della vita? Potrà dare loro la forza necessaria per sopravvivere?
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“Lager 33” affronta una delle tematiche della storia mondiale, quella del dramma dei deportati nei gulag, tra cui anche numerosi italiani. Il dover passare da un lager all’altro, trasferimenti disumani che minavano la resistenza e la voglia di vivere, per poi finire in campi di prigionia e di lavori forzati per delle colpe inesistenti.
Vi è la tematica della separazione dalla propria famiglia, dagli affetti, dalla terra d’origine. Per poi riabbracciarla dopo svariate, troppe, peripezie e sofferenze e non riconoscerla, quasi a sentirsi estranei nella propria casa.
Un romanzo che mostra la brutalità umana, che ricorda ciò che è avvenuto e che potrebbe accadere nuovamente.
Lo stile di scrittura pur essendo semplice, è strutturato in modo da raccontare invece che mostrare al lettore, attraverso azioni, espressioni, emozioni ecc., mancando in tal modo di quel pathos che la storia richiederebbe. I numerosi avvenimenti tendono a essere descritti in successione a discapito della soggettività dei personaggi, della loro interiorità e vissuto, e ciò non permette al lettore di potersi immergere completamente nella storia narrata.
Tuttavia, quella descritta da Lilia è una storia forte e ben documentata. Affronta e ha il coraggio di porre nello stesso piano i lager nazisti con quelli stalinisti mostrando come la vera tortura in quei campi fosse far morire i deportati lentamente tra le intemperie del gelo, della fame e del lavoro massacrante.
Che dire della Cortigiana d’Inchiostro? La storia, pur avendo un profondo potenziale non crea un rapporto, un legame empatico con il lettore. Probabilmente, approfondendo determinati aspetti, come ad esempio i rapporti umani e le descrizioni delle ambientazioni, la narrazione ne trarrebbe un sicuro giovamento.
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