Vite che non sono la mia – Emmanuel Carrère

By lacortigianadinchiostro
Gennaio 8, 2021

Autore: Emmanuel Carrère
Titolo: Vite che non sono la mia
Casa editrice: Einaudi – Super ET
Pagine: 242
Genere: narrativa

Cari amici librosi,
questo mese vi parlo del libro di Emmanuel CarrèreVite che non sono la mia” edito da Einaudi e tradotto da Maurizia Balmelli.

Un libro difficile da recensire, ho faticato nella lettura, non tanto per il libro in sé, ma per le tematiche trattate. Mi sono approcciata a questa lettura appositamente senza avere un’idea chiara, sono entrata nel mondo descritto da Carrère senza alcuna informazione tranne l’aver letto qualche riga della sinossi. Vi chiederete: perché? Non c’è un motivo preciso, mi è stato consigliato da una persona che stimo particolarmente e mi sono detta che nel bene o nel male, lo avrei dovuto leggere. Ebbene, eccomi qua a parlare di “Vite che non sono la mia”, un romanzo non facile da affrontare, denso, ruvido, ma allo stesso tempo dolce, traboccante d’amore e affamato di vita. Quando le vere protagoniste sono la vita e la morte. Un dualismo perenne tra esistenza e fine, resa e lotta.

Iniziamo dal principio:

Sri Lanka, dicembre 2004. Un’onda, un imponente muro d’acqua si abbatte nella località dove Emmanuel Carrère sta trascorrendo le vacanze di Natale con la famiglia. Testimone della tragedia successiva a quel devastante accadimento, si ritrova ad aiutare una coppia di amici che ha subito una profonda perdita: la figlia di quattro anni.

Nei mesi successivi, Carrère è testimone di un altro evento drammatico, la malattia della cognata, Juliette, una giovane donna di trentatré anni costretta ad affrontare l’imminente morte nel pieno della vita, un lavoro che la soddisfa, un marito e tre bambine da crescere. Ma questo non è il suo destino, e Carrère come spinto da un improvviso impeto, come una sorta di messaggere, vuole approfondire la vita della cognata, della sua malattia, del suo essere, della sua morte, attraverso diversi punti di vista di chi ha amato Juliette: dal collega e amico, al marito ormai vedovo.

Una storia che tocca corde delicate dell’emotività, con un senso di delicatezza e profondità.

***

Il libro di Carrère tratta tematiche difficili, lui stesso ne era cosciente quando le ha trascritte: mettendosi sei mesi di fronte al computer trascrivendo delle sue più grandi paure: la morte di un figlio per i genitori e la morte di una giovane donna per i figli e suo marito. Fatti terribili di cui lo scrittore è stato personalmente testimone, dallo tsunami nello Sri Lanka alla perdita della giovane cognata causata da un cancro al seno devastante.

Lo stile di Carrere è impeccabile, acuto, attento ai dettagli; permette di poter entrare nella realtà da lui descritta attraverso un’analisi attenta, concentrata, quasi dura nel capire la psiche, la sofferenza che attanaglia chi subisce e affronta una perdita. Una narrazione schietta senza ma e perché, senza giustificazioni ma solo limpidezza, priva di oggi giudizio, nel mostrare ciò che accade nell’animo umano. Come si reagisce alla vista di un’onda anomala, alla perdita di ogni avere, alla morte di una mamma anche se si è solo un bambino? Tutte domande a cui istintivamente ognuno di noi si oppone, a cui non vorrebbe dare una risposta. Ma Carrère lo fa. Rischiando, parla della sua esperienza e lo fa magistralmente.

Una scrittura che come un bisturi scava, e scava ancora in profondità, fino a trovare l’orrore, “l’orrore morale di immaginare il mondo senza di te, ma anche l’orrore fisico. L’orrore del corpo che si ribella perché sente che verrà annientato”.

Carrère mostra l’uomo nel suo essere atavico e primordiale, riesce a cogliere la vera natura umana, le espressioni di una delle emozioni primarie: la paura. Un prendere coscienza di una tale emozione, essere sinceri con se stessi e ammettere: “Ok Paura, siamo io e te. Ti accetto… ma soffro, soffro disperatamente”.

Un libro, questo di Carrère, che per lui ha rappresentato come una missione. Un osservatore con uno scopo preciso: il trascrivere la vita, il parlare di vite che non sono la sua, per mostrare l’essenza umana, la natura dell’esistenza che altro non è che un’incognita, un sali e scendi continuo.

Personalmente, a volte, leggendo, mi mancava quasi l’aria. Boccheggiavo quando Juliette era preda a crisi respiratorie, avevo il cuore in gola nel leggere la vita serena nello Sri Lanka, la descrizione dei luoghi e della popolazione tranquilla e allegra sapendo dell’imminente onda che li avrebbe investiti da lì a poche ore. Io stessa ho ben chiara l’immagine di quel lontano giorno di dicembre. Ero solo una ragazzina, ma il fotogramma dell’onda che invadeva un particolare resort è stampata a fuoco nella mia memoria. Posso solo immaginare chi ha vissuto una tale disgrazia.

Che dire della Cortigiana d’Inchiostro? La storia mi ha trascinata nel suo fiume di eventi. Una scrittura fluida, espressiva che permette al lettore di empatizzare con i vari attori narrativi. Una storia non facile, che immerge il lettore nel buio, nel vuoto del dolore, quel dolore lasciato da una perdita di una persona cara. L’universo descritto in “Vite che non sono la mia” permette di riflettere sulle priorità che ognuno di noi ha, di quanto le nostre problematiche possano essere futili se paragonate al baratro più oscuro: la morte.

Carrère è disarmante nella sua semplicità nel dire il vero, nell’affrontarlo, una penna che crea turbamento nel suo mostrare la disperazione che tocca il cuore senza chiedere il permesso.

Stefania Marotta

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